Cultura | Religione

Formazza - Tradizioni religiose

“Färgält s Gott tüsuk maal, tresch Gott un ärlesch Gott di abkschtorbnu Seelä”, tradotto significa: “Ti ricompensi Dio mille volte, consoli Dio e liberi Dio le anime dei tuoi morti”.

Anche un semplice modo di ringraziare può svelare notizie significative su una comunità:

-                      il dialetto tedesco ne conferma l’antica origine alemannica;

-                      il contenuto fa intuire alcune caratteristiche dell’animo, del modo di essere e del modo di concepire la vita di noi Walser, vale a dire: Dio al di sopra di tutto, e grande considerazione per le anime dei morti

Emerge una profonda spiritualità che permea ogni attimo della quotidianità. I Walser affrontavano fatiche immani per insediarsi e vivere in posti di alta montagna, ed erano sempre in lotta con la natura e per la sopravvivenza: pensiamo alla minaccia delle valanghe, delle frane, dei lampi, della grandine…, pensiamo a quanto sia avara la terra a certe altezze, come non sentire allora fortissimo il bisogno della presenza e della protezione di Dio e dello spirito dei propri morti?

Dio, Santi e spiriti sono sempre invocati per chiedere protezione nella lotta contro le avversità e i mali che il demonio provoca; perciò le attività quotidiane venivano accompagnate da gesti, parole, preghiere come in un rito; momenti di vita comunitaria diventavano usanze collettive tramandate da generazione in generazione fino a noi; segni simbolici venivano incisi sui travi delle case, sugli attrezzi, sui mobili o ricamati sui tessuti.

A proposito di attività quotidiane, ricordo mia madre, ad esempio, dopo aver vangato, piantato le patate e rastrellato la terra per uniformarla, in un angolo del campo col dorso del rastrello lasciava un’impronta a forma di stella e diceva una preghiera per i defunti; era un invito alle anime dei morti a vegliare, come le stelle vegliano nelle tenebre, sul raccolto che andava formandosi nascosto nella terra; o forse insieme a questo invito, il gesto era anche un promemoria per se stessi, a far parte del mondo celeste a cui siamo destinati.

Un altro esempio: i casari non toglievano la massa di formaggio dal paiolo se prima non vi avevano tracciato la croce con la mano in segno di benedizione.

E ancora: prima che le mucche andassero all’alpe ogni allevatore nella propria stalla accendeva una candela benedetta e colava qualche goccia di cera nei campanacci per poi metterli al collo dei bovini; una preghiera a Sant’Antonio abate era il minimo che si potesse fare per ottenere la protezione degli animali.

A volte la spiritualità e religione si fondevano col senso del magico: quando ad esempio una mucca si ammalava e i vari medicamenti non erano efficaci, da noi a Formazza si ricorreva ad un rito speciale, il “prekchä”, era una specie di esorcismo casereccio a cui solo poche persone erano addette, per lo più donne. Dato che la presenza del demonio era la causa di ogni male, bisognava scacciarla; allora la persona preposta prendeva un braciere, vi metteva dei tizzoni sottratti dopo la benedizione del fuoco a Pasqua e gelosamente custoditi, delle foglie di ulivo benedetto, qualche fiore benedetto il giorno di S. Giovanni e qualche rametto di ginepro, al tutto veniva dato il fuoco, col fumo che si innalzava, come fosse incenso, si affumicava l’animale, naturalmente il gesto era accompagnato da una serie di preghiere specifiche, che ormai più nessuno conosce; quasi sempre il benessere tornava a regnare nelle stalle.

Numerose erano poi le processioni intraprese col proprio parroco per propiziarsi annate favorevoli o come toccasana contro ogni genere di mali. Oltre a processioni fisse che si facevano regolarmente, la popolazione ne poteva decidere altre occasionali per allontanare calamità improvvise.

Anticamente ogni anno il 25 di giugno i Formazzini percorrevano in processione 40 km su sentieri di montagna per raggiungere il passo del S. Gottardo e ottenere dal Santo la benedizione sulle persone e sugli animali. Questa processione venne soppressa dal vescovo Bascapè in seguito alle lamentele a lui espresse dal parrocco, ma ne rimane il ricordo nel santuarietto di Antillone sull’affresco che risale al 1676.

Oltre a questa solenne processione se ne facevano altre nel Vallese; singolare quella del 15 agosto ad Ulrichen, vi si recavano in particolare le ragazze per chiedere alla Madonna la grazia di uno sposo sincero, onesto e possibilmente bello. Se poi si sposavano si recavano ad Einsiedeln per il viaggio di nozze che diventava un altro vero e proprio pellegrinaggio, praticato ancora oggi.

Per quanto riguarda i segni simbolici, ne troviamo in tutte le antiche case walser; sul trave di ogni “Schtuba” non manca mai la IHS con l’anno di costruzione e il nome dei proprietari, accompagnati da parole di lode o da invocazioni a Dio. Su quello di una casa di Grovella troviamo: 1769 VIR BRIDER BEIDE PETER UND CAROLUS … HABEN DISES HAUS LASSEN BOWEN MIT AUF GOTES UND MARIA FERTERAWEN O DU TADLER LAS MICH UNFERAH DAN DU REDS GANS UNBEDACH (1769, noi due fratelli Pietro e Carlo abbiamo fatto costruire questa casa con fiducia in Dio e Maria. O tu, criticone, non disprezzarmi poiché tu parli proprio senza riflettere).

Oggigiorno a Formazza chi costruisce o restaura una casa riprende ad incidere i travi come facevano i nostri avi inventando nuove iscrizioni nell’antico dialetto.

Segni simbolici e scritte, le possiamo trovare anche su mobili e vari oggetti di uso domestico, su un tavolo in noce del XVIII secolo compare intarsiata la simpatica scritta: TRINCK UND IS UND GOT NIT FERGIS” (mangia e bevi e non dimenticare Dio).


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